EDITORIALE
Sono giornate politicamente convulse queste che viviamo. La legge delega sul lavoro ed il dibattito giustamente avviato dentro il Partito Democratico, il complesso voto parlamentare per l’elezione di due giudici costituzionali; momenti non semplici in cui conciliare idee e convinzioni personali con esigenze di riforma e credibilità delle istituzioni.
Mi sento di premettere due cose in modo chiaro: non sono una fan della riforma per la riforma, penso che ogni intervento modificativo del quadro esistente vada realizzato con l’obiettivo di rendere piu’ moderne, efficaci ed efficienti le istituzioni italiane, con i tempi ed i mezzi adeguati per portare avanti questo compito. La fretta non è mai una buona consigliera. A questo aggiungo che – venendo al tema del momento- secondo me, l’art.18, peraltro ampiamente modificato dalla legge Fornero, non sia un elemento in grado di frenare la crescita o lo sviluppo del Paese.
Detto questo, però, devo dire che aver ridotto tutto il dibattito inerente la legge delega sul lavoro ad un referendum pro o contro l’art.18 e’ stato, secondo me, politicamente e concretamente sbagliato, perché ha fatto passare sotto silenzio il valore di un intervento riformatore complessivo che interviene giustamente e necessariamente sul tema del lavoro, con uno strumento che prova a disegnare un quadro generale su tante questioni che da tempo animano il mondo del lavoro italiano.
E lo fa provando a stabilizzare i precari e ad allargare le tutele, a sperimentare il salario minimo e a prevedere il sussidio di disoccupazione anche a favore dei co.co.co, rivedendo gli ammortizzatori sociali, introducendo nuove tutele per la maternità, rivedendo il funzionamento dei centri per l’impiego. Tutti elementi completamente trascurati e tralasciati nel convulso dibattito di questi giorni, frutto di un lavoro congiunto portato avanti nelle commissioni da tutti i senatori del partito democratico, senza distinzione tra maggioranza e opposizione.
Ci sono stati momenti di confronto, anche aspro, nella direzione del Partito e nelle sedi parlamentari, grazie ai quali però si è arrivati ad ulteriori cambiamenti e miglioramenti della delega ( penso al principio contenuto nel maxi emendamento presentato in Senato che vuole rendere più convenienti rispetto alle altre forme contrattuali i contratti a tempo indeterminato ) , grazie alla mediazione di chi, anche nella minoranza del Partito (e penso a persone come Roberto Speranza, al Ministro Maurizio Martina, a Guglielmo Epifani) ha lavorato per arrivare a soluzioni condivise, a introdurre ulteriori modifiche migliorative che tenessero conto del dibattito emerso negli organismi politici del partito, a favorire gli incontri del Governo con le parti sociali ( che mi auguro proseguano nelle prossime settimane). Un lavoro forse meno rumoroso e meno “utile” a mezzo stampa, ma concretamente capace di favorire il confronto ed il cambiamento.
Non tutto è’ come si sarebbe voluto, non lo nascondo, ma per natura e formazione ho sempre pensato che il benaltrismo, per quanto ad alto tasso di purezza ideale, si riveli, alla fine, poco utile per riformare un Paese che ha disperatamente bisogno di ritrovare la propria bussola .
DEPISTAGGIO
In un Paese come il nostro, nella cui storia più o meno recente si intrecciano misteri e pagine oscure, la Camera dei Deputati ha approvato, lo scorso 24 settembre, una significativa proposta di legge, proposta dal collega Paolo Bolognesi, presidente dell’associazione familiari delle vittime strage di Bologna, che introduce nel codice penale il reato di depistaggio e inquinamento processuale.
E’ sempre utile ricordare come la storia repubblicana sia costellata, nei tragici fatti di terrorismo, stragi e mafia, di episodi di depistaggio e ostacoli alle indagini frapposti da pubblici ufficiali corrotti e servizi deviati. E tuttavia, sarebbe riduttivo e fuorviante ritenere che questa proposta di legge abbia semplicemente un valore simbolico, quasi risarcitorio nei confronti di vicende opache, dal momento che si opera attraverso la specifica previsione di una nuova figura di reato.
La previsione del nuovo reato (inserita all’art. 375 c.p.) mira a reprimere quelle condotte, diverse dalle falsità testimoniali (già oggi punite), che puntano a impedire, ostacolare o sviare un’indagine o un processo penale.
Il reato base di inquinamento processuale identifica, quindi, condotte oggettive riferite:
1) all’alterazione della scena e delle cose del reato;
2) alla distruzione soppressione o occultamento di prove;
3) alla creazione di prove e piste false.
A fianco della fattispecie-base si prevedono poi determinate ipotesi aggravate in cui l’inquinamento processuale si trasforma in depistaggio, con un aumento della pena. Sono tali le ipotesi di condotte commesse da pubblici ufficiali, in cui la pena è aumentata da un terzo alla metà, ovvero quelle riferite a reati di estrema gravità (eversione, strage, terrorismo, banda armata, associazione mafiosa, associazioni segrete, traffico illegale di armi e materiale nucleare, chimico o biologico), in cui la pena va da sei a dodici anni.
Si colma così un evidente vuoto normativo del nostro ordinamento colpendo condotte particolarmente odiose perché sabotano il rapporto di fiducia tra cittadino e istituzioni avvelenando la convivenza civile.
ESERCIZI COMMERCIALI
Nel mese di settembre l’Aula della Camera ha approvato in prima lettura il progetto di legge diretto ad apportare alcune limitazioni alla totale liberalizzazione degli orari degli esercizi commerciali, introducendo l’obbligo di chiusura per almeno sei tra i giorni festivi dell’anno, la predisposizione di accordi territoriali tra Comuni al fine di definire gli orari degli esercizi, maggiori poteri ai sindaci di limitare l’apertura dei locali nei luoghi della “movida”, ma con ordinanze che hanno valenza di tre mesi e la creazione di un Fondo per il sostegno alle micro, piccole e medio imprese del commercio.
Il testo di legge parte da un assunto condivisibile: in un settore, come il commercio, che in questi anni ha vissuto una spinta fortissima verso la liberalizzazione, tale principio deve necessariamente sposarsi con un principio di regolamentazione del mercato, provando a contemperare diverse sensibilità, le specificità che caratterizzano questo settore mettendo a confronto i diversi protagonisti: gli utenti, gli operatori, le imprese, i lavoratori, le comunità locali con le loro vocazioni.
Nello specifico, il provvedimento interviene apportando alcune limitazioni alla liberalizzazione degli orari degli esercizi commerciali, introducendo l’obbligo di chiusura per almeno dodici (riducibili a sei) tra i giorni festivi dell’anno (il 1° gennaio, il 6 gennaio, il 25 aprile, la domenica di Pasqua, il giorno di lunedì dopo Pasqua, il 1° maggio, il 2 giugno, il 15 agosto, il 1° novembre, l’8 dicembre, il 25 e 26 dicembre).
Ogni Comune, anche in coordinamento con gli altri contigui, può predisporre accordi territoriali non vincolanti per la definizione degli orari e delle chiusure degli esercizi commerciali, con la finalità di assicurare la fruibilità dei servizi commerciali, promuovere l’offerta commerciale e valorizzare zone a più marcata vocazione commerciale, con l’adozione di procedure consultive delle organizzazioni locali dei consumatori, delle imprese e dei lavoratori.
E’ riconosciuta al Sindaco la facoltà, qualora sussistano esigenze di tutela dei beni culturali, di sostenibilità ambientale, di viabilità o tutela dei diritti dei residenti alla sicurezza e al riposo, di limitare l’afflusso di pubblico in determinate zone del territorio comunale interessate da fenomeni di aggregazione notturna, definendo, per un periodo non superiore a tre mesi, degli orari di apertura dei pubblici esercizi e delle attività commerciali e artigianali.
Si prevede, infine, l’istituzione di uno specifico Fondo per il sostegno delle micro imprese attive nel settore del commercio al dettaglio, diretto ad erogare contributi per le spese sostenute per l’ampliamento dell’attività, per la dotazione di strumentazioni nuove (comprese quelle necessarie per i pagamenti tramite moneta elettronica) e di sistemi di sicurezza innovativi, nonché per l’accrescimento dell’efficienza energetica, oltre che contributi integrativi per il pagamento dei canoni di locazione.
Il testo del provvedimento passa ora al Senato
LIBERTA’ DI ATTRIBUZIONE DEL COGNOME AI PROPRI FIGLI.
E’ giunto finalmente ad approvazione un provvedimento, di cui si è a lungo discusso negli ultimi mesi, di modifica del codice civile in materia di attribuzione del cognome ai figli.
La proposta di legge approvata- che passa ora al Senato- fa venire meno l’obbligo del cognome paterno, prevedendo la possibilità – con distinte soluzioni – di attribuire ai figli anche il cognome materno, in ottemperanza alla recente giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo, ponendo il nostro ordinamento in linea con la maggior parte dei sistemi giuridici europei.
La maturazione di questo tipo di intervento è avvenuto nel novero di un quadro normativo sovranazionale ormai impossibile da ignorare: la Carta di Nizza, la Convenzione sull’eliminazione di tutte le forme di discriminazione nei confronti della donna, la Convenzione europea dei diritti dell’uomo (Convenzione EDU), oppure, ancora, le raccomandazioni in materia del Consiglio d’Europa.
Il testo unificato (che si basa sulla proposta di legge dell’on. Laura Garavini del PD) è composto di 7 articoli, nei quali si prevede la piena libertà di scelta per i genitori sull’attribuzione del cognome.
In caso di figlio nato nel matrimonio, al momento della nascita al figlio potrà essere attribuito, su accordo dei genitori, il cognome del padre, quello della madre oppure entrambi nell’ordine concordato. In caso di disaccordo consegue l’attribuzione automatica di entrambi i cognomi, in ordine alfabetico.
Nel caso di più figli nati dagli stessi genitori coniugati, quelli registrati all’anagrafe dopo il primo figlio portano lo stesso cognome di quest’ultimo. Il figlio cui sono stati trasmessi entrambi i cognomi può trasmetterne ai propri figli soltanto uno a propria scelta.
Nel caso di figlio nato fuori dal matrimonio, la disciplina varia in ragione del momento di riconoscimento del figlio: se il figlio è riconosciuto contemporaneamente da entrambi i genitori, si applica la stessa disciplina prevista per il figlio di genitori coniugati; se il figlio è riconosciuto da un solo genitore, ne assume il cognome; ove il riconoscimento da parte dell’altro genitore avvenga successivamente, il cognome di questi si aggiunge al primo solo con il consenso del genitore che ha riconosciuto il figlio per primo nonché, se ha già compiuto 14 anni, del figlio stesso.
La riforma si applicherà solo alle dichiarazioni di nascita successive all’entrata in vigore di un apposito regolamento attuativo, da adottarsi entro dodici mesi.
IN PARLAMENTO E NON.
Quello appena trascorso è stato un mese ricco di incontri ed impegni istituzionali e politici.
Sono stata relatrice in Commissione Cultura sullo schema di decreto legislativo recante attuazione della direttiva 2012/28/UE su taluni utilizzi consentiti di opere orfane. Al fine di creare un quadro normativo omogeneo ed uniforme, in linea con i principi previsti dall’Agenda Digitale, il provvedimento introduce nell’ordinamento una disciplina per garantire la possibilità di taluni utilizzi delle opere protette dal diritto d’autore o da diritti connessi per le quali non è stato individuato o rintracciato un titolare degli stessi diritti (cosiddette «opere orfane») presenti nelle collezioni di biblioteche, istituti di istruzione o musei, accessibili al pubblico, nonché di archivi o istituti per il patrimonio cinematografico o sonoro, per scopi connessi con la loro missione di servizio pubblico.
Sono stata prima firmataria di un’interrogazione, diretta al Ministero dei Beni Culturali e del Turismo e sottoscritta da altri colleghi PD della regione Marche, relativa alla mancata nomina del Direttore regionale dei Beni Culturali, vacante a seguito del pensionamento del precedente dirigente. Una situazione che, se non sanata, rischia di compromettere, per il territorio delle Marche, la piena continuità e certezza nell’esercizio delle funzioni di tutela del patrimonio culturale e paesaggistico, al pari delle altre regioni d’Italia, indipendentemente da ogni ipotesi di riorganizzazione amministrativa in campo.
Sta inoltre proseguendo, sempre in Commissione, il lavoro di approfondimento ed audizione relativo a due provvedimenti che mi vedono impegnata, di cui vi ho parlato nei mesi scorsi: quello relativo alla promozione della lettura e quello relativo all’editoria e al finanziamento pubblico a periodici e giornali.
Lo scorso 24 settembre, con 24 voti su 30, sono stata eletta Segretario della Commissione Cultura e Istruzione, entrando così a far parte dell’Ufficio di Presidenza della medesima.
Ma accanto agli impegni parlamentari, sono stati tanti e importanti gli incontri avvenuti nel mese di settembre. Lo scorso 27 settembre ho preso parte presso il Comune di Morro d’Alba alla prima edizione del premio Primo Romagnoli, rivolto alle scuole superiori della regione, sulla storia delle Costituzioni italiane. Ho avuto l’opportunità di far parte del Comitato scientifico che ha valutato le prove prodotte dalle scuole partecipanti su temi complessi ed interessanti ( di cui spesso mi sono occupata nei miei studi). Voglio condividere con voi una riflessione, forse banale ma che merita di essere espressa: si è spesso portati ad evidenziare cosa non funziona o cosa non va nel mondo scolastico. Tante cose non vanno e sono indubbiamente giustificate le tante proteste. Ma mi piace anche rendere merito ai docenti degli istituti che hanno partecipato (il Liceo Classico di Fermo, l’Istituto tecnico commerciale “Gentili” di Macerata, l’ITI di Fabriano) per la passione con cui hanno guidato per mano i loro studenti lungo un percorso di ricostruzione della storia del costituzionalismo moderno non facile ( perché fuori dai programmi curriculari), ma approfondita ed attenta, in un processo di crescita ed educazione alla cittadinanza attiva. Fanno indubbiamente più notizia i disservizi dell’universo scuola, è bello portare alla luce quanto di buono c’è, che deve essere incoraggiato a crescere e a maturare.
Il mese di settembre ha portato con se’ le Feste dell’Unità della provincia ( Recanati, Porto Recanati, Corridonia, Macerata), momenti da conservare per le iniziative svolte, per gli incontri fatti, i confronti avviati, in cui provare a ritrovarsi come comunità politica.
In questo mese sarò impegnata in due interessanti iniziative in giro per l’Italia:
l’11 ottobre a Castiglione della Pescaia nel convegno, promosso da Comune di Castiglione della Pescaia, Provincia di Grosseto e Fondazione Grosseto Cultura, “La strada del Contemporaneo. Verso una riscoperta del valore Cultura”;
il 25 ottobre presso la Villa Reale di Monza, per il convegno ” Non c’è Cultura senza popolo”, promosso dal gruppo parlamentare Pd alla Camera dei Deputati.
Ne riparleremo nel prossimo numero della newsletter.
E INFINE.
Nelle settimane appena trascorse ho avuto l’opportunità di partecipare, a Recanati e a Macerata, a due distinte iniziative in memoria di Enrico Berliguer ed Aldo Moro. Due appuntamenti diversi ( uno dedicato alla testimonianza dell’autista e del capo scorta del segretario del PCI, l’altro ai tragici avvenimenti legati al sequestro e alla morte del Presidente della DC), eppure accomunati da un momento storico e politico che hanno vissuto da protagonisti. Uno dei reali privilegi dell’incarico che sto svolgendo è proprio quello di poter incontrare storie appassionate e sincere, raccontare momenti importanti durante i quali il nostro Paese si è trovato davanti al bivio tra la strada della speranza e del riformismo e quella del conservatorismo e della paura e, purtroppo, ha scelto, anche per concause esterne, la seconda. La storia non si fa mai con i se, ma sarebbe bello sapere come sarebbe andata se quel 16 marzo 1978 le cose fossero andate diversamente.