Contro le povertà

Approvata la legge per il contrasto alla povertà, diretta a favorire l’inclusione sociale e a contrastare l’emarginazione.

I destinatari del ddl sono i soggetti più deboli della società, i minori, le famiglie con disabili gravi, i minori a carico di donne in stato di gravidanza, persone oltre i 55 anni senza lavoro e senza ammortizzatori sociali. E veicola un concetto fondamentale per  una crescita sana della  società. La battaglia contro la povertà è anche innanzitutto la battaglia per il futuro di chi oggi è ancora giovane.  E proprio questa è stata la premessa nell’accogliere nel ddl le indicazioni  ricevute durante l’indagine sulla povertà minorile svolta dalla commssione bicamerale sull’Infanzia e Adolescenza .Il provvedimento delinea una misura universale di contrasto alla povertà, denominata Reddito di inclusione (Rei): si tratta di una misura di reddito minimo assegnata ai nuclei familiari in condizioni di povertà assoluta, ovvero quelle famiglie che non sono in grado di acquistare quel minimo di beni necessari a condurre una vita dignitosa. Si compone di un trasferimento economico subordinato all’accettazione da parte dei destinatari di un progetto personalizzato che deve prevedere alcuni obblighi (ricerca impiego, formazione, frequenza scolastica per i minori).

Non solo la novità del reddito di inclusione, dunque, ma una riforma organica e strutturale del sistema delle politiche sociali che risponde a principi di equità, di efficacia nell’accesso e nell’erogazione delle prestazioni. Si tratta di uno strumento universale, operante su tutto il territorio nazionale e permanente nel tempo, le cui risorse vengono dal Fondo per la lotta alla povertà e all’esclusione sociale, che ha già messo in campo uno stanziamento di 600 milioni per il 2016, e un miliardo a partire dal 2017 e che prevede la possibilità di incremento attraverso stanziamenti da altri provvedimenti di legge fino a coprire interamente la platea in condizione di povertà assoluta, cioè di coloro che non possono disporre dell’insieme dei beni e dei servizi necessari a condurre un livello di vita dignitoso.

Un approccio che tiene conto della persona, vista non solo nella sua condizione economica, ma con una valutazione multidisciplinare del bisogno. I progetti di attivazione e di inclusione sociale divengono, così, personalizzati per il nucleo familiare e predisposti da una equipe costituita dagli ambiti sociali territoriali, più vicini al soggetto coinvolto, con la partecipazione anche degli altri servizi interessati. Per farlo è necessario un cambiamento nel funzionamento del sistema dei servizi sociali, con un maggiore  impegno in termini di controllo, di presa in carico, di monitoraggio e valutazione, nonché di capacità di relazione tra i Comuni e gli altri enti del territorio.  Il provvedimento prevede anche il riordino delle prestazioni di natura assistenziale finalizzate al contrasto della povertà, il rafforzamento delle forme di gestione associate ai servizi sociali e l’istituzione di un coordinamento per garantire su tutto il territorio nazionale i livelli essenziali delle prestazioni.

Solo con questa visione globale e riformatrice, capace di mettere al centro i bisogni delle persone e dei nuclei familiari, si possono rimuovere gli ostacoli economici e sociali che limitano la libertà e l’eguaglianza dei cittadini ed eliminare la condizione di povertà, secondo quanto previsto dalla nostra Costituzione e nel rispetto dei principi della Carta dei diritti fondamentali della Unione Europea.

Molto ancora resta da fare, ma è  un passo decisamente importante per restituire dignità a chi vive in condizione di fragilità. Ma intanto riusciamo a mettere in campo misure concrete, sostenibili ed efficaci perché rivolte a chi ha davvero bisogno, senza demagogia.

Queste le principali differenze con la proposta di legge del Movimento Cinque Stelle: impropriamente definita “Reddito di cittadinanza”, è in realtà una proposta di legge di reddito minimo, simile nel funzionamento all’impianto del nostro Reddito di inclusione. Differisce profondamente per la soglia di reddito al di sotto della quale è concessa la misura e per l’entità del trasferimento, essendo individuata a contrasto non della povertà assoluta, ma del rischio di povertà. Tale scelta non è condivisibile, non tanto per la necessità di uno stanziamento ingente di risorse, ma perché incline a far scattare la c.d.“trappola della povertà”, vale a dire la maggior convenienza per le persone a ricevere il sussidio (come detto molto alto nella proposta del Movimento Cinque Stelle, anche per effetto di moltiplicatori che sovrastimano la presenza di più componenti nel nucleo familiare) piuttosto che attivarsi alla ricerca di un lavoro.

LE DIFFERENZE TRA REDDITO MINIMO E REDDITO DI CITTADINANZA :

Reddito minimo: è una prestazione monetaria erogata solo ai bisognosi, sulla base di una prova dei mezzi. L’importo è differenziato a seconda delle risorse dell’individuo, per il raggiungimento di un reddito “soglia” che deve essere garantito a tutti. Spetta dunque solo a coloro che si trovano sotto questa soglia. Il reddito minimo d’inserimento è uguale al reddito minimo ma prevede in più che sia condizionato all’accettazione di progetti di inserimento socio-lavorativo per i beneficiari (è il caso del nostro Reddito di Inclusione). In varie forme e declinazioni, è presente da anni in tutti i paesi europei tranne Italia e Grecia. Da oggi anche in Italia (in Grecia è in via di approvazione).

Reddito di cittadinanza: è un reddito di base elargito dalla comunità a tutti i suoi membri su base individuale, senza prova dei mezzi o richiesta di lavoro. L’importo è uguale per tutti, a prescindere dal reddito.  Non esistono esempi concreti di applicazione in nessun paese del mondo (tranne un esempio limitato in Alaska e una sperimentazione molto limitata in Finlandia

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